sabato 19 dicembre 2015

Revocato decreto ingiuntivo banca che non ha prodotto gli estratti conto

Con un'interessante sentenza dell'11 novembre 2015, il Tribunale di Rimini ha revocato un decreto  ingiuntivo poiché, tra le altre cose, gli estratti conto a suo sostegno non erano stati prodotti integralmente dall'istituto di credito richiedente.
In altri termini per valutare il credito della banca occorre che la produzione degli estratti conto sia integrale.
Nella fattispecie la banca si era limitata a produrre degli estratti conto parziali riferiti agli ultimi dieci anni. E così il Tribunale romagnolo, sposando la giurisprudenza ormai consolidata della Corte di Cassazione, ha sottolineato che, una volta esclusa la validità della clausola in base alla quale sono stati calcolati gli interessi, il credito della banca può essere determinato solo attraverso la produzione completa degli estratti conto dal momento della data di apertura del conto corrente, nella quale sono integralmente ricostruiti il dare e l'avere con l'applicazione del tasso legale.
Lo stesso risultato, invece, non potrebbe essere perseguito solo attraverso la produzione del saldo registrato alla data di chiusura del conto e della documentazione relativa all'ultimo periodo del rapporto.
Quest'ultima, infatti, non consente la verifica degli importi addebitati nei periodi precedenti per le operazioni passive né degli interessi.
Insomma, l'accertamento della nullità delle clausole contrattuali che impongono interessi a un tasso ultra legale necessita della ricostruzione dell'andamento dell'intero rapporto, senza che possa assumere alcun rilievo la circostanza che il correntista non ha sollevato rilievi in ordine alla documentazione prodotta nel procedimento monitorio.
La sentenza in esame rileva poi per essersi pronunciata anche in materia di usura, ricordando che la nullità delle previsioni in violazione della relativa normativa deve essere valutata al momento della pattuizione. Senza che la gravità della violazione possa essere sminuita facendo riferimento all'assenza delle condizioni usurarie di un'apertura di credito formalizzata al momento della stipula.

domenica 22 novembre 2015

NULLO IL MUTO CONTRATTO PER ESTINGUERE O RIDURRE IL FIDO

 

venerdì 13 novembre 2015

CONSULENZA ANATOCISMO ED USURA
 
Lo studio offre consulenza ed assistenza alle aziende che siano interessate ad ottenere il rimborso dalle banche delle somme abusivamente trattenute da quest’ultime.
Per il calcolo degli interessi ultralegali sarà necessario far eseguire una perizia econometrica-tecnico contabile da parte del consulente dello studio, il quale, da un primo esame degli estratti conto, sarà in grado di valutare la economicità e l’utilità per il cliente di procedere nel contenzioso.
La pre analisi del caso ed il preventivo sono gratuiti.
L’iter della pratica seguirà il seguente corso.
  • Analisi della pratica e perizia contabile
  • Assunzione dell’incarico da parte dello studio
  • Ricorso alla procedura di mediazione obbligatoria ai sensi del D.lgs n.28/2010
  • In caso di mancato accordo citazione in giudizio dell’istituto di credito
Pertanto se :
Hai intrattenuto con una banca rapporti di conto corrente, usufruendo di apertura di credito con saldi passivi, dal 1950 sino al 2000, ha sicuramente subito illeciti addebitamenti di interessi anatocistici e, pertanto puoi   richiedere all’istituto di credito il rimborso di quanto illegittimamente trattenuto dalla stessa nel caso in cui il conto corrente non sia ancora chiuso o sia stato chiuso entro gli ultimi dieci anni.
N.B. Occorre che il correntista abbia conservato gli estratti conto trimestrali in caso contrario degli ultimi 10 anni è possibile richiedere copia alla Banca.


 

CENNI STORICI E GIURIDICI SULL’ANATOCISMO BANCARIO

CENNI STORICI E GIURIDICI SULL’ANATOCISMO BANCARIO
La questione relativa all’anatocismo attuato dalle banche dagli anni 50 sino alla nota sentenza della Cassazione del marzo 1999 è ormai comunemente nota.
Per illegittima applicazione di interessi bancari anatocistici, si intende la pratica di addebitare gli interessi passivi, relativi a somme date a credito al correntista, con scadenza trimestrale.
Tali interessi, riportati trimestralmente sull’estratto conto del cliente, assumono veste di capitale in modo da produrre a loro volta interessi passivi.
La pratica di applicare interessi anatocistici è stata messa in atto dagli istituti di credito per il periodo che va dagli albori del Codice civile sino alla emanazione del decreto Legislativo 342/99 e della delibera del CICR dl 9/02/2000.
La giurisprudenza di legittimità per molti anni ha avallato il modus operandi delle banche sino a quando, cambiando orientamento (sentenze 2374, 3096 e 3845/1999) non ha, affermato l’illiceità del sistema.
Non trovava, dunque, più accoglimento l’impostazione giuridica sostenuta dalle banche secondo cui, in presenza di un uso normativo, in vigore da anni, gli istituti potevano derogare al disposto dell’art.1283 C.C. che recita testualmente:
In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi scaduti da almeno sei mesi”.
In forza del nuovo orientamento giurisprudenziale si rendeva necessaria una nuova legislazione che regolamentasse la materia.
In tal senso con Decreto 342 del 4/08/1999 il Governo attribuiva al CICR il potere di stabilire, con apposita delibera, le modalità ed i criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio della attività bancaria, assicurando che alla clientela dovesse essere assicurata la “stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori”.
Il 9/02/99 il CICR emanava il provvedimento di sua competenza che entrava in vigore il 22/04/2000.
Per quanto attiene il divieto di anatocismo per il periodo antecedente alla succitata legge “salva banche”, la giurisprudenza di legittimità ha continuato a pronunciarsi sfavorevolmente per gli istituti bancari : Cass.n. 6263/01- 1281/02 – 4490/02-8442/02-2593/03- 12222/03 – 13739/03 – 3805/04 – 4095/05.
Da ultimo, a conclusione della annosa diatriba giudiziaria, si è pronunciata la Suprema Corte a Sezioni Unite (n.21095/2004) che ha definitivamente respinto gli assunti delle banche.
Le Sezioni Unite sono state chiare nel respingere l’assunto secondo il quale, per tutto il periodo antecedente al 1999, sarebbe esistita una diffusa opinio iuris, e quindi un vero e proprio uso normativo, che avrebbe legittimato l’applicazione degli interessi anatocistici.
Sosteneva, infatti, la banca ricorrente, che solo a partire dal 1999, a seguito di una diversa sensibilizzazione della clientela di fronte a certi aspetti giuridico-etici, ci sarebbe stata la ribellione contro il sistema prima accettato.L
a Cassazione, nella sua massima composizione, ha definitivamente ribadito che: “Gli usi contrari, suscettibili di derogare al precetto del 1283 C.C., sono non i meri “usi negoziali” di cui all’art. 1340 C.C. , ma esclusivamente i veri e propri “usi normativi”, di cui agli art.1 e 8 disp. Prel. Cc, consistenti nella ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento (usus), accompagnato dalla convinzione che si tratta di un comportamento giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell’ordinamento giuridico ( opinio juris ac necessitatis) .”
La sentenza rileva poi come la clientela degli istituti di credito, lungi dal ritenere legittima l’imputazione trimestrale degli interessi, si sia semplicemente adeguata, stante l’impossibilità di negoziare condizioni diverse.
Ancora le Sezioni Unite hanno rigettato gli argomenti delle banche in ordine alla non retroattività del divieto di applicazione degli interessi anatocistici.
Atteso, dunque, il reiterato indirizzo della giurisprudenza di legittimità e di merito, nonché il fallito tentativo del governo di eliminare l’onere per le banche della restituzione delle somme illegittimamente incassate (si ricorda che il D.L.342/99 prevedeva di sanare retroattivamente l’operato delle banche e che detta statuizione è stata abrogata dalla sent. 425/00 Corte Cost.) è evidente che tutte le somme percepite illegittimamente dagli istituti di credito negli anni precedenti al 2000 devono essere restituite ai correntisti.
Tuttavia così non avviene e, abusando della propria posizione di potere, le banche, seguendo un indirizzo concordato associativamente, non danno corso a richieste stragiudiziali e resistono in causa a mero fine defatigatorio e dilatorio.
Non solo, le banche, forti delle loro influenze politiche, al fine di evitare la restituzione ai cittadini delle somme incassate in violazione di norme giuridiche, hanno recentemente fatto pressione al fine di ottenere una legge che, limitando i termini di prescrizione, rendesse di fatto impossibile l’azione di recupero da parte dei correntisti.
Veniva così emanata un’apposita norma, subito definita “SALVA BANCHE” (art.2, comma 61 D.l. 225/2010 (c.d.Milleproroghe) convertito nella Legge n.10/2011), la quale prevedeva che il termine prescrizionale dell’azione di recupero nei confronti delle banche decorresse dal giorno dell’addebito e non, come aveva stabilito la Corte di Cassazione a sezioni unite dal giorno di chiusura del conto . Peraltro la norma aveva dichiaratamente effetto retroattivo.
Con questa disposizione lo stato impediva ai cittadini il recupero dei crediti, risultando prescritte tutte le posizioni.
Per fortuna, a conferma che il nostro è uno stato di diritto, e che il pernio dei nostri diritti è la Costituzione, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 78 del 5 Aprile 2012, ha abrogato la succitata norma in quanto emanata in violazione dell’art. 3 e 117 Cost.
E’ allora ancora possibile, nei casi in questione, per i cittadini, agire per la salvaguardia dei propri diritti.
LE COMMISSIONI DI MASSIMO SCOPERTO – ANATOCISMO 
Oltre agli interessi anatocistici un ulteriore onere è stato posto in capo al correntista da parte delle banche, si tratta della commissione di massimo scoperto.
La commissione è stata giustificata dagli istituti di credito, quale rischio della variazione del costo della provvista, considerato che l’apertura di un conto corrente comporta per la banca la necessità di reperire copertura finanziaria.
La commissione di massimo scoperto rappresenta dunque un maggiore guadagno per la banca, andando ulteriormente ad indebitare il correntista.G
li istituti di credito utilizzano diversi sistemi di calcolo per conteggiare la commissione: vi è il criterio assoluto quando è calcolata sul massimo saldo passivo del trimestre, il criterio relativo quando viene calcolata sul saldo negativo protrattosi per almeno 10 giorni, il criterio misto che tiene conto di entrambi i sistemi.
Tuttavia la giurisprudenza che si è andata formando in questi anni è concorde nel ritenere che detta commissione non possa essere addebitata dalla banca in difetto di espressa convenzione.
Si veda in punto:
  • Cass. Civ. sez. I , 14/05/2005 n. 10127
  • Trib. Pescara, 5/01/2006 n.298
  • Trib. Velletri, 16 Marzo 2009 n.548
  • Trib. Trento, 3 Febbraio 2010 n.125
  • Trib. Arezzo, 19 Agosto 2009 n.716
  • Trib. Ferrara, 16 Aprile 2009 n.642
Ancora è stata dichiarata nulla la clausola contrattuale che, pur statuendo l’applicazione della commissione di massimo scoperto, non ne determini il metodo di calcolo, ma si limiti a stabilire unicamente la percentuale.
  • Trib. Vibo Valentia 16/01/ 06 n.23
Ma vi è di più.
La giurisprudenza di merito ha in modo costante rilevato che, anche qualora prevista contrattualmente, la commissioni di massimo scoperto è da ritenersi nulla per mancanza di causa.
E’ stata infatti ritenuta priva di fondamento la tesi delle banche secondo cui la commissione svolge la funzione corrispettivo per il maggior rischio, per la banca, in caso di incremento dell’utilizzo del fido da parte del correntista.
Se così fosse, infatti, la banca dovrebbe applicare la commissione ad ogni variazione di utilizzo e per tutta la sua durata.
Le clausole relative alle commissioni di massimo scoperto sono dunque nulle per mancanza di causa in quanto risultano estremamente imprecise nella determinazione del loro contenuto non individuando la causa giustificativa dell’attribuzione dell’onere al cliente.
Così analizzate, le clausole de quibus non possono che costituire un ulteriore interesse corrispettivo non pattuito posto a carico del correntista . In tal senso:
  • Trib. Patti 10/06/2006 n.155
  • Trib. Milano 4/07/2002
  • Trib. Mondovì, 17 /02/2009 n. 70
Coerentemente con gli assunti illustrati, la giurisprudenza ha affermato la validità della clausola relativa commissione di massimo scoperto esclusivamente nel caso in cui il correntista abbia utilizzato somme oltre il limite del fido.
Infatti la dizione stessa della commissione implica che si tratti di un costo applicato dalla banca in relazione ad importi utilizzati oltre l’affidamento concesso.
Del resto l’utilizzo di somme entro il limite del fido non costituisce tecnicamente uno scoperto: Trib. Mantova, 21/0472007.
Chiariti i criteri di valutazione dell’efficacia giuridica della clausola sulla commissione di massimo scoperto, occorre affrontare il problema della applicazione trimestrale della stessa .
Nel caso di nullità per i motivi dianzi esposti nulla quaestio, le somme andranno integralmente restituite al correntista.
Nel diverso caso di validità della clausola, la commissione non può però essere calcolata trimestralmente, stante il divieto ormai acclarato dalla giurisprudenza.
Vedasi in punto : Trib.Lecce sent.11/03/2005 – Trib. di Cosenza n. 623/2002 – Trib. di Lecce n. 2598 del 08/10/1997 – G. di Pace di Palermo del 10/12/1997 – Trib. Trapani 7/07/04 – Trib Torino 23/07/03, Trib. Roma 28/11/2002, Trib. Reggio Calabria 28/06/2002.
La inapplicabilità delle commissioni di massimo scoperto con scadenza trimestrale trae origine dalle seguenti argomentazioni.
Sia che tale commissione sia un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi, come potrebbe inferirsi dall’essere conteggiata in una misura percentuale dell’esposizione debitoria massima raggiunta e quindi sulle somme effettivamente utilizzate nel periodo considerato, che solitamente è trimestrale e dalla pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale come per gli interessi passivi, sia che la medesima commissione abbia una funzione remunerativa dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo, la capitalizzazione trimestrale non è dovuta atteso che , nell’un caso le clausole anatocistiche sono nulle, e, nell’altro caso la disciplina dell’anatocismo, prevista dall’art. 1283 C.C., espressamente per gli interessi scaduti non è estensibile ad un corrispettivo autonomo dagli interessi. “Trib.Trapani 7/07/04.
L’ USURA
Da quanto sopra discende che le somme richieste dalla banca ed imputate al correntista trimestralmente per commissione di massimo scoperto, altro non sono se non un ulteriore interesse corrispettivo, il quale sommato all’interesse sullo scoperto di conto, nonché agli interessi anatocistici, va a modificare il tasso applicato dalla banca sino a condurlo, in alcuni casi, nell’alveo dell’usura. .
In punto appare puntuale il richiamo al provvedimento del Tribunale di Napoli, sez. GIP, 21 giugno 2006 con cui il giudice ha rigettato la richiesta di archiviazione relativa ad un procedimento per usura, ritenendo che, al fine del superamento del tasso della soglia di usura, anche le commissioni di massimo scoperto devono rientrare nel calcolo del tasso effettivo applicato dall’istituto di credito.
Nel senso suindicato si è recentemente pronunciata la Suprema Corte la quale ha affermato la correttezza della decisione del giudice del merito, chiamato a valutare il superamento della soglia di usura, che aveva considerato le commissioni di massimo scoperto al fine del calcolo del tasso .
  • Corte di Cassazione 26/03/2010 n. 12028
In particolare la Suprema Corte ha affermato che “ il chiaro tenore letterale del comma 4 dell’art.644 cod.pen. (secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usuraio si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito) impone di considerare rilevante ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che l’utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la commissione di massimo scoperto trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato all’erogazione del credito, giacchè ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto, e funge da corrispettivo per l’onere a cui l’intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità per tenerla a disposizione del cliente. Ciò comporta che, per la determinazione del tasso effettivo globale praticato dall’intermediario finanziario nei confronti del soggetto fruitore del credito deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto ove praticata. ”

giovedì 12 novembre 2015

DIVIETO DI ANATOCISMO

 
La c.d. Legge di Stabilità 2014 (L. 147/13), entrata in vigore dal primo gennaio 2014, ha introdotto un nuovo secondo comma all'art. 120 TUB precisando che  "Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interesse sia debitori sia  creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla soglia capitale".
Ciò di cui si discute incessantemente è la verifica dell'effettività o meno del divieto introdotto dal legislatore in materia di interessi passivi "anatocistici" nei rapporti bancari e, in caso affermativo, se l'applicazione di tale modifica sia immediata o meno nei rapporti in corso. 
Per il Tribunale di Roma, con provvedimento datato 20/10/15, del giudice Scerrato che ha accolto il ricorso cautelare ex art. 140, 8° comma, d.lgs. 205/06 appare evidente la posizione netta assunta dal legislatore sul divieto di anatocismo e sulla sua immediata applicabilità nei rapporti fra banche e correntisti. 
La quasi totalità dei precedenti giurisprudenziali propende per una rigorosa esclusione dell'anatocismo nei rapporti bancari, che troverebbe fondamento già sulla mera interpretazione letterale della norma, in forza della quale è difficile assegnare all'espressione per cui "gli interessi non possono produrre interessi ulteriori" un significato diverso dalla radicale esclusione dell'anatocismo (cfr. Tribunale Biella, 7/7/15, Giudice Pipicelli). 
La giurisprudenza, allineata su questo orientamento, verifica che già al momento della proposta di legge il legislatore aveva palesato l'intenzione di superare l'anatocismo nei rapporti bancari, seppur indirettamente: la legge di conversione 116/14, infatti, ha di fatto soppresso la previsione interinale che che attribuiva al CICR la competenza a stabilire le modalità per la produzione,  con cadenza annuale, di interessi sugli interessi nei rapporti bancari, e ciò dimostra inequivocabilmente la volontà di non voler reintrodurre una simile prassi nel sistema. 
Affermato che il divieto di anatocismo è vigente e introdotto nella normativa attuale, rimane controversa la questione sulla delega attribuita al CICR per la determinazione delle modalità e dei criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio della'attività bancaria. 
Circa l'efficacia applicativa che tale provvedimento assumerebbe nella cornice dettata dalla legge, la giurisprudenza ritiene che trattasi di lacuna che "non impedisce che la norma sia efficace e vigente" poiché trattasi di norma primaria chiara nella sua portata precettiva e poiché, comunque, "le modalità e i criteri della norma regolamentare devono dare attuazione alla norma primaria e non possono certo stravolgerla conferendole una portata opposta a quanto dalla stessa stabilito". 
Pertanto, la mancanza di una delibera CICR comporta unicamente che, allo stato dei fatti (in cui, dalla data di entrata in vigore della legge, apposita delibera non è ancora intervenuta) gli intermediari possono adottare qualunque modalità operativa e contabile per garantire che gli interessi non siano mai calcolati sugli interessi in tutte le operazioni bancarie (cfr. Tribunale Milano, ord. 9/7/2015, giudice dott. Stefani). 
Proprio negli scorsi mesi, la Banca d'Italia ha diffuso una "Bozza" di delibera CICR, ancora non ufficialmente adottata e neppure definitiva, che costituirebbe il primo intervento in materia da applicarsi, secondo quanto ivi provvisoriamente disposto, agli interessi maturati a partire dal primo gennaio 2016.  
Tuttavia, nessuna tesi che ancora l'attuazione della disciplina alla delibera del Comitato può, secondo i giudici, essere condivisa poiché la norma vieta in toto l'anatocismo e qualunque specificazione tecnica di carattere secondario rischia di limitare la portata della norma primaria oppure di disciplinare diversamente la decorrenza del divieto; una norma primaria, non potrebbe mai essere derogata da una disposizione secondaria ad essa sottordinata, quindi al CICR sono delegati solo poteri normativi atti ad integrare (e non modificare) il quadro ordinamentale. 
Il Comitato dovrà occuparsi solo degli aspetti tecnico contabili conseguenziali al divieto introdotto, al fine di uniformare tutto il sistema bancario ed evitare la ricordata libertà di regole contabili di cui le banche beneficiano attualmente. 
Il divieto d'anatocismo, per tali ragioni, potrà validamente applicarsi anche ai contratti sorti in precedenza i cui effetti non sono esauriti, ma ancora in corso, a partire dal 1° gennaio 2014, ossia dalla data di entrata in vigore della nuova disciplina. 
Nel caso di specie, confermata la legittimazione dell'associazione dei consumatori, il Tribunale ordina di inibire alla banca resistente qualsiasi ulteriore forma di capitalizzazione degli interessi passivi nei contratti di conto corrente già in essere o che verranno stipulati coi consumatori. 
In una simile situazione, il ricorso ex art. 140, comma 8, CdC appare un rimedio valido in virtù dei "giusti motivi di urgenza" che caratterizzano l'azione, tesa ad assicurare una tutela tempestiva agli interessi collettivi dei consumatori contro una pratica commerciale scorretta, evitando il protrarsi o la creazione di  situazioni contra legem e il cristallizzarsi di pregiudizi. 
 

mercoledì 28 ottobre 2015

Con  la legge del 07/03/1996 n. 108, il legislatore emana la norma  specifica  per la rilevazione
Detto limite veniva stabilito, fino al secondo trimestre 2011, “nel tasso medio, risultante dall’ultima rivelazione pubblica nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1, relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà” (dall’art. 2 comma quarto Legge 108/96).
Dal terzo trimestre 2011 il limite viene stabilito  “nel tasso medio, risultante dall’ultima rivelazione pubblica nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1, relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato di un quarto più quattro punti percentuali” (art. 2 comma quarto Legge 108/96 modificato da D. Leg. 70/2011 convertito con modifiche nella Legge 106/2011).
Questo tasso limite viene chiamato “tasso soglia”, il corrispettivo è usuraio quando il tasso effettivo applicato dalla banca risulta superiore al tasso soglia.
Il tasso soglia viene pubblicato su Gazzetta Ufficiale trimestralmente del Ministero del Tesoro per categoria di finanziamento (art. 2 della L. 108/96).
oggettiva dell’eventuale usura applicata dagli operatori finanziari,  modificando  sia l’art. 644 del Codice Penale  che l’art. 1815 del Codice Civile, definendo CHIARAMENTE che  “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”.  – LA LEGGE, NON LA BANCA!