lunedì 15 maggio 2017
LA CASSAZIONE CONFERMA QUANTO SOSTENUTO DA QUESTO STUDIO NEI PROPRI ATTI
La sentenza in questione è quella della Cassazione civile, sez. I, 11 maggio 2017, n. 11554:
“ Il potere del correntista di chiedere alla banca di fornire la documentazione relativa al rapporto di conto corrente tra gli stessi intervenuto può essere esercitato, ai sensi del comma 4 dell’art. 119 del vigente testo unico bancario, anche in corso di causa e a mezzo di qualunque modo si mostri idoneo allo scopo”.
L’art. 119 4° comma del testo unico bancario ( d.l.gs. 385/1993), riconosce al cliente o a colui che gli succede a qualunque titolo o che ne subentra nell’amministrazione e ha diritto di avere, a proprie spese ed entro il termine di 90 giorni dalla richiesta, copia della documentazione relativa alle singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni.
Trattasi di un diritto autonomo del correntista e la banca ha il dovere di offrire la documentazione richiesta, nel rispetto dell’obbligo di buobna fede, correttezza e solidartietà.
È certo, poi che il cliente abbia il diritto di ricevere anche copia dei contratti sottoscritti. L’obbligo in capo alla banca di consegna del contratto, consegue difatti al dovere generale della banca di comportamento secondo correttezza, imposto peraltro ad entrambi i contraenti di un contratto.
La norma richiamata dalla disposizione dell’art. 119 tub ha un' importanza notevole, quale strumento di tutela del cliente e spesso viene utilizzata dalla banca in modo fuorviante in pendenza di giudizio. Non è affatto raro che in corso di causa, la consulenza tecnica d’ufficio non viene ammessa perché ritenuta esplorativa, oppure se ammessa il consulente nominato non riesce a fare alcun indagine perché i documenti depositati dal correntista sono insufficienti.
Ci sono numerose sentenze del Tribunale e della Corte d’’Appello di Milano, che hanno rigettato le domande di correntisti di accertamento negativo del debito, solo perché la richiesta di documentazione ex art. 119 TUB, è avvenuta dopo la notifica dell’atto di citazione, vale a dire in corso di causa.
Ebbene la clamorosa sentenza della Cassazione riporta in auge, il vero significato del diritto alla trasparenza e informazione bancaria, spesso dimenticato dai tribunali, che sono convinti che la norma dell’art. 119 assegna al correntista la possibilità e facoltà, di ottenere la documentazione della relazione bancaria, che può essere esercitata solo prima che il giudizio, – interessato dalla documentazione bancaria relativa, – venga promosso e instaurato; dall’altro, e comunque, che una richiesta giudiziale di esibizione documentale, seppur proveniente dal
correntista, non viene a integrare gli estremi di una richiesta di documentazione promossa ex art. 119 TUB.
Eppure la legge riconosce un diritto che non è soggetto a restrizioni “E con cui viene a confrontarsi un dovere di protezione in capo all’intermediario, per l’appunto consistente nel fornire degli idonei supporti documentali alla propria clientela, che questo supporto venga a richiedere e ad articolare in modo specifico. Un dovere di protezione idoneo a durare, d’altro canto, pure oltre l’intera durata del rapporto, nei limite dei dieci anni a seguire dal compimento delle operazioni interessate”.
La Cassazione pur analizzando i vari rilievi, rigetta la soluzione adottata dalla Corte bolognese – secondo cui l’esercizio di questo potere di accesso e/o richiesta della documentazione alla banca, sia limitato alla fase anteriore all’avvio del giudizio eventualmente intentato dal correntista nei confronti della banca presso la quale è stato intrattenuto il conto. La Suprema Corte, afferma che “ una simile ricostruzione non risulta solo in netto contrasto con il tenore del testo di legge, che peraltro si manifesta equivoco. La stessa tende, in realtà, a trasformare uno strumento di protezione del cliente – quale si è visto essere quello in esame – in uno strumento di penalizzazione del medesimo: in via indebita facendo transitare la richiesta di documentazione del cliente dalla figura della libera facoltà a quella, decisamente diversa, del vincolo dell’onere. D’altra parte, neppure è da ritenere che l’esercizio del potere in questione sia in qualche modo subordinato al rispetto di determinare formalità espressive o di date vesti documentali; né, tanto meno, che la formulazione della richiesta, quale atto di effettivo esercizio di tale facoltà, debba rimanere affare riservato delle parti del relativo contratto o, comunque, essere non conoscibile dal giudice o non transitabile per lo stesso. Ché simili eventualità si tradurrebbero, in ogni caso, in appesantimenti dell’esercizio del potere del cliente: appesantimenti e intralci non previsti dalla legge e frontalmente contrari, altresì, alla funzione propria dell’istituto. Il tutto, in ogni caso, nell’immanente limite di utilità, per il caso di esercizio in via giudiziale della facoltà di cui all’art. 119, che la richiesta si mantenga entro i confini della fase istruttoria del processo cui accede.”
È opportuno infatti ricordare che, l’articolo 119 tub attribuisce al correntista la facoltà di richiedere alla banca “copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni” e, pertanto, non ha alcuna attinenza con l’articolo 210 cpc che, invece, consente al giudice-su istanza di parte- di ordinare all’altra parte l’esibizione della documentazione “di cui ritenga NECESSARIA l’acquisizione al processo” senza alcun limite temporale. Trasferire il limite decennale di cui all’articolo 119 tub all’interno dell’articolo 210 cpc che, invece, come unico limite prevede espressamente la rilevanza del documento (anche se ultradecennale ) è francamente una forzatura -che, tra l’altro, non tiene nemmeno conto degli obblighi di rendicontazione dell’istituto di credito in riferimento alla regolare tenuta di “tutto” il rapporto- che per fortuna la Suprema Corte ha definitivamente chiarito contribuendo (lo si auspica) a ripristinare la giustizia è la parità delle parti del in sede processuale.”
Lo STUDIO LEGALE QUINTIERI si occupa del contenzioso nei confronti delle banche ed avente ad oggetto la ripetizione delle somme illegittimamente ed indebitamente richieste al correntista a titolo di interessi anatocistici e di commissioni di massimo scoperto. Si eseguono inoltre richieste di restituzione degli interessi su mutui e finanziamenti affetti da usura.
Lo studio si occupa anche consulenza ed assistenza nei diversi ambiti del diritto civile e del diritto di famiglia. In particolare si occupa di: separazioni, divorzi, affidamento condiviso, riconoscimento di paternità, tutela dei minori, eredità, donazioni, questioni condominiali , locazioni e risarcimento danni da errore medico e da infortunistica stradale. Lo studio svolge inoltre attività di assistenza e tutela legale in materia di obbligazioni (recupero crediti e contrattualistica in genere) ed in materia di previdenza e lavoro.
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domenica 9 aprile 2017
Contratto bancario nullo se firmato solo dal cliente : Cassazione Civile, sez. I, sentenza 24/03/2016 n° 5919
Debiti e crediti di più contratti bancari si compensano
Le conseguenze non sono prive di rilievo: in caso mancanza di forma scritta del contratto, il cliente bancario potrà agire per far dichiarare la nullità degli interessi ultralegali, delle commissioni e spese addebitatigli in costanza di rapporto, con effetti restitutori in proprio favore (art. 1284 c.c. e art. 117 T.U.B); del pari l’investitore finanziario potrà far valere la nullità del contratto quadro privo di forma scritta (come nel caso da cui è originata la sentenza in commento) e conseguentemente far dichiarare la nullità di tutti gli ordini di investimento esecutivi di quello che si siano rivelati per lui sfavorevoli, con effetti restitutori e/o risarcitori a proprio vantaggio (tra le tante, vedasi Tribunale di Milano 28.4.2015; Tribunale di Terni 17.11.2014; Tribunale di Venezia 28.4.2008).
Precedentemente Suprema Corte, sezione I, con la sentenza n. 4564 del 22 marzo 2012, seguita da buona parte della giurisprudenza di merito, aveva ritenuto che, in presenza di contratto sottoscritto dal solo cliente, la previsione di forma scritta ad substantiam fosse comunque rispettata qualora il documento rechi la dicitura “un esemplare del presente contratto ci è stato da voi consegnato”. L’obbligo di forma scritta è altresì rispettato, proseguiva la Corte, quando, alla sottoscrizione del contratto da parte del solo investitore, abbiano fatto seguito, anche alternativamente, la produzione in giudizio di copia del contratto da parte della banca, oppure la manifestazione di volontà della medesima di avvalersi del contratto stesso, risultante da plurimi atti posti in essere nel corso del rapporto (ad es. comunicazione degli estratti conto).
La sentenza in commento, come anticipato, segna al contrario un completo ribaltamento di rotta: la Cassazione prende atto dell’esistenza del suo precedente dictum del 2012 sopra riportato, ma espressamente dichiara che allo stesso “non può essere dato continuitá”, adducendo una serie di argomentazioni, senz’altro condivisibili, che fanno perno sul consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di perfezionamento dei contratti per i quali é prevista la forma scritta ad substantiam e il relativo onere della prova.
La Corte, in primis, premesso che il requisito della forma scritta ad substantiam è soddisfatto anche se le sottoscrizioni delle parti sono contenute in documenti distinti, purchè risulti il collegamento inscindibile del secondo documento al primo, sì da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell'accordo e purchè entrambe le scritture siano prodotte in giudizio, statuisce che la sottoscrizione da parte del cliente della dicitura "Prendiamo atto che una copia del presente contratto ci viene rilasciata debitamente sottoscritta da soggetti abilitati a rappresentarvi" sposta la verifica del requisito della forma scritta ad substantiam sul piano della prova, ove trova applicazione la disposizione dettata dal codice civile che consente di supplire alla mancanza dell'atto scritto nel solo caso previsto dall'art. 2725 c.c., comma 2, che richiama l'art. 2724 c.c., n. 3, ossia nell'ipotesi in cui il contraente abbia perso senza sua colpa il documento che gli forniva la prova del contratto. La preclusione della prova per testimoni citata opera parimenti per la prova per presunzioni ai sensi dell'art. 2729 c.c., per il giuramento ai sensi dell'art. 2739 c.c. e per la confessione quale, in definitiva, sarebbe la presa d'atto, da parte del cliente, della consegna dell'omologo documento sottoscritto dalla banca, manifestata con la dicitura in questione.
Ma, conclude la Corte, non si può parlare di "perdita", ai sensi l'art. 2724 c.c., nel caso, come quello di cui si discute, della consegna del documento alla controparte contrattuale che contiene la propria sottoscrizione (ossia della banca) e quindi non può attribuirsi valore confessorio alla dichiarazione del cliente di aver ricevuto copia del contratto sottoscritto dai rappresentanti della banca, né potrebbe ammettersi eventualmente una prova testimoniale sul punto, ai fini della prova della sussistenza nella fattispecie del requisito della forma scritta del contratto richiesto ai sensi di legge.
Quanto poi alla questione se la validitá del contratto privo della firma della banca possa essere ricollegata alla produzione in giudizio da parte di quest’ultima del medesimo documento ovvero a comportamenti concludenti posti in essere dalla stessa banca e documentati per iscritto (es. produzione in giudizio di contabili, ordini di esecuzione, estratti conto ecc.) da cui si evidenzierebbe la volontá di quest’ultima di avvalersi del contratto, la Corte, richiamando consolidato orientamento di legittimitá, sostiene ora che l’eventuale produzione in giudizio del contratto sottoscritto dall’altra parte non può che avere effetti contrattuali perfezionativi ex nunc e non ex tunc, (tant'è che il congegno non opera se l'altra parte abbia medio tempore revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l'atto incompleto non è più in vita nel momento della produzione, perchè la morte determina di regola l'estinzione automatica della proposta (art. 1329 c.c.)), con la conseguenza che gli ordini di acquisto eseguiti precedentemente al perfezionamento del contratto quadro (o, nel caso di contratti di conto corrente, gli addebiti a titolo di interessi ultralegali, commissioni e spese effettuati prima del perfezionamento in giudizio del contratto) sono nulli proprio perché presuppongono l’esistenza ‘a monte’ di un contratto quadro valido. D'altro canto, aggiunge la Corte, far discendere la validità dell'ordine di acquisto dal perfezionamento soltanto successivo del "contratto quadro" non è pensabile, stante il principio dell'inammissibilità della convalida del contratto nullo ex art. 1423 c.c.
Quanto alla eventuale rilevanza del comportamento tenuto dalle parti in costanza di contratto ‘monofirma’, la Suprema Corte afferma che, in generale, nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam, il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla stipulazione del contratto stesso, non può evidenziare una formazione del consenso al di fuori dello scritto medesimo. La forma scritta, quando è richiesta ad substantiam, è insomma elemento costitutivo del contratto, nel senso che il documento deve essere l'estrinsecazione formale e diretta della volontà delle parti di concludere un determinato contratto avente una data causa, un dato oggetto e determinate pattuizioni, sicchè occorre che il documento sia stato creato al fine specifico di manifestare per iscritto la volontà delle parti diretta alla conclusione del contratto.
Per cui, conclude la Corte, è di tutta evidenza che l’eventuale documentazione depositata dalla banca (contabili, attestati di seguito, estratti conto) non possiede i caratteri della "estrinsecazione diretta della volontà contrattuale", tale da comportare il perfezionamento del contratto, trattandosi piuttosto di documentazione predisposta e consegnata in esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto il cui perfezionamento si intende dimostrare e, cioè, da comportamenti attuativi di esso e, in definitiva, di comportamenti concludenti che, per definizione, non possono validamente dar luogo alla stipulazione di un contratto formale.
La sentenza in commento rappresenta un deciso cambiamento di
rotta della Suprema Corte in materia di contratti bancari e finanziari,
suscettibile di avere un effetto dirompente in tutti quei contenziosi, in vero
molto frequenti nelle aule di Tribunale, in cui si controverta sulla validità
del contratto c.d. “monofirma” prodotto in giudizio, ossia caratterizzato dalla
presenza sul documento della sola sottoscrizione del cliente, mentre manca la
firma della banca o dell’intermediario finanziario.
Come è noto, la disciplina dei contratti bancari e
finanziari prevede la necessità di forma scritta del contratto a pena di
nullità (art. 117 T.U.B. e art 23 T.U.F.). Trattasi di nullità c.d. “di
protezione” che può essere fatta valere solo dal cliente se ritenuta a suo
vantaggio (art. 127 T.U.B. e art 23 T.U.F.).
Le conseguenze non sono prive di rilievo: in caso mancanza di forma scritta del contratto, il cliente bancario potrà agire per far dichiarare la nullità degli interessi ultralegali, delle commissioni e spese addebitatigli in costanza di rapporto, con effetti restitutori in proprio favore (art. 1284 c.c. e art. 117 T.U.B); del pari l’investitore finanziario potrà far valere la nullità del contratto quadro privo di forma scritta (come nel caso da cui è originata la sentenza in commento) e conseguentemente far dichiarare la nullità di tutti gli ordini di investimento esecutivi di quello che si siano rivelati per lui sfavorevoli, con effetti restitutori e/o risarcitori a proprio vantaggio (tra le tante, vedasi Tribunale di Milano 28.4.2015; Tribunale di Terni 17.11.2014; Tribunale di Venezia 28.4.2008).
Precedentemente Suprema Corte, sezione I, con la sentenza n. 4564 del 22 marzo 2012, seguita da buona parte della giurisprudenza di merito, aveva ritenuto che, in presenza di contratto sottoscritto dal solo cliente, la previsione di forma scritta ad substantiam fosse comunque rispettata qualora il documento rechi la dicitura “un esemplare del presente contratto ci è stato da voi consegnato”. L’obbligo di forma scritta è altresì rispettato, proseguiva la Corte, quando, alla sottoscrizione del contratto da parte del solo investitore, abbiano fatto seguito, anche alternativamente, la produzione in giudizio di copia del contratto da parte della banca, oppure la manifestazione di volontà della medesima di avvalersi del contratto stesso, risultante da plurimi atti posti in essere nel corso del rapporto (ad es. comunicazione degli estratti conto).
La sentenza in commento, come anticipato, segna al contrario un completo ribaltamento di rotta: la Cassazione prende atto dell’esistenza del suo precedente dictum del 2012 sopra riportato, ma espressamente dichiara che allo stesso “non può essere dato continuitá”, adducendo una serie di argomentazioni, senz’altro condivisibili, che fanno perno sul consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di perfezionamento dei contratti per i quali é prevista la forma scritta ad substantiam e il relativo onere della prova.
La Corte, in primis, premesso che il requisito della forma scritta ad substantiam è soddisfatto anche se le sottoscrizioni delle parti sono contenute in documenti distinti, purchè risulti il collegamento inscindibile del secondo documento al primo, sì da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell'accordo e purchè entrambe le scritture siano prodotte in giudizio, statuisce che la sottoscrizione da parte del cliente della dicitura "Prendiamo atto che una copia del presente contratto ci viene rilasciata debitamente sottoscritta da soggetti abilitati a rappresentarvi" sposta la verifica del requisito della forma scritta ad substantiam sul piano della prova, ove trova applicazione la disposizione dettata dal codice civile che consente di supplire alla mancanza dell'atto scritto nel solo caso previsto dall'art. 2725 c.c., comma 2, che richiama l'art. 2724 c.c., n. 3, ossia nell'ipotesi in cui il contraente abbia perso senza sua colpa il documento che gli forniva la prova del contratto. La preclusione della prova per testimoni citata opera parimenti per la prova per presunzioni ai sensi dell'art. 2729 c.c., per il giuramento ai sensi dell'art. 2739 c.c. e per la confessione quale, in definitiva, sarebbe la presa d'atto, da parte del cliente, della consegna dell'omologo documento sottoscritto dalla banca, manifestata con la dicitura in questione.
Ma, conclude la Corte, non si può parlare di "perdita", ai sensi l'art. 2724 c.c., nel caso, come quello di cui si discute, della consegna del documento alla controparte contrattuale che contiene la propria sottoscrizione (ossia della banca) e quindi non può attribuirsi valore confessorio alla dichiarazione del cliente di aver ricevuto copia del contratto sottoscritto dai rappresentanti della banca, né potrebbe ammettersi eventualmente una prova testimoniale sul punto, ai fini della prova della sussistenza nella fattispecie del requisito della forma scritta del contratto richiesto ai sensi di legge.
Quanto poi alla questione se la validitá del contratto privo della firma della banca possa essere ricollegata alla produzione in giudizio da parte di quest’ultima del medesimo documento ovvero a comportamenti concludenti posti in essere dalla stessa banca e documentati per iscritto (es. produzione in giudizio di contabili, ordini di esecuzione, estratti conto ecc.) da cui si evidenzierebbe la volontá di quest’ultima di avvalersi del contratto, la Corte, richiamando consolidato orientamento di legittimitá, sostiene ora che l’eventuale produzione in giudizio del contratto sottoscritto dall’altra parte non può che avere effetti contrattuali perfezionativi ex nunc e non ex tunc, (tant'è che il congegno non opera se l'altra parte abbia medio tempore revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l'atto incompleto non è più in vita nel momento della produzione, perchè la morte determina di regola l'estinzione automatica della proposta (art. 1329 c.c.)), con la conseguenza che gli ordini di acquisto eseguiti precedentemente al perfezionamento del contratto quadro (o, nel caso di contratti di conto corrente, gli addebiti a titolo di interessi ultralegali, commissioni e spese effettuati prima del perfezionamento in giudizio del contratto) sono nulli proprio perché presuppongono l’esistenza ‘a monte’ di un contratto quadro valido. D'altro canto, aggiunge la Corte, far discendere la validità dell'ordine di acquisto dal perfezionamento soltanto successivo del "contratto quadro" non è pensabile, stante il principio dell'inammissibilità della convalida del contratto nullo ex art. 1423 c.c.
Quanto alla eventuale rilevanza del comportamento tenuto dalle parti in costanza di contratto ‘monofirma’, la Suprema Corte afferma che, in generale, nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam, il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla stipulazione del contratto stesso, non può evidenziare una formazione del consenso al di fuori dello scritto medesimo. La forma scritta, quando è richiesta ad substantiam, è insomma elemento costitutivo del contratto, nel senso che il documento deve essere l'estrinsecazione formale e diretta della volontà delle parti di concludere un determinato contratto avente una data causa, un dato oggetto e determinate pattuizioni, sicchè occorre che il documento sia stato creato al fine specifico di manifestare per iscritto la volontà delle parti diretta alla conclusione del contratto.
Per cui, conclude la Corte, è di tutta evidenza che l’eventuale documentazione depositata dalla banca (contabili, attestati di seguito, estratti conto) non possiede i caratteri della "estrinsecazione diretta della volontà contrattuale", tale da comportare il perfezionamento del contratto, trattandosi piuttosto di documentazione predisposta e consegnata in esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto il cui perfezionamento si intende dimostrare e, cioè, da comportamenti attuativi di esso e, in definitiva, di comportamenti concludenti che, per definizione, non possono validamente dar luogo alla stipulazione di un contratto formale.
Lo STUDIO LEGALE QUINTIERI si occupa del contenzioso nei confronti delle banche ed avente ad oggetto la ripetizione delle somme illegittimamente ed indebitamente richieste al correntista a titolo di interessi anatocistici e di commissioni di massimo scoperto. Si eseguono inoltre richieste di restituzione degli interessi su mutui e finanziamenti affetti da usura.
Lo studio si occupa anche consulenza ed assistenza nei diversi ambiti del diritto civile e del diritto di famiglia. In particolare si occupa di: separazioni, divorzi, affidamento condiviso, riconoscimento di paternità, tutela dei minori, eredità, donazioni, questioni condominiali , locazioni e risarcimento danni da errore medico e da infortunistica stradale. Lo studio svolge inoltre attività di assistenza e tutela legale in materia di obbligazioni (recupero crediti e contrattualistica in genere) ed in materia di previdenza e lavoro.
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sabato 4 febbraio 2017
ONERE DELLA BANCA PROVARE LE SINGOLE RIMESSE PRESCRITTE
Importante sentenza del Tribunale di Milano pubblicata 11.01.2017 in tema di onere probatorio: incombe alla banca provare le singole rimesse prescritte.
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lunedì 12 dicembre 2016
Mutuo a tasso variabile con parametro Euribor: è nulla la determinazione del tasso?
CONTRATTO DI MUTUO A TASSO VARIABILE CON PARAMETRO EURIBOR: E’ NULLA LA DETERMINAZIONE DEL TASSO?
Importante contributo scientifico dell'amico prof. Gregorio d' Amato che invito a leggere.
SOMMARIO: 1.Cos’è il tasso Euribor. 2. L’art. 118 TUB a presidio della variazione unilaterale del tasso di interesse per i contratti a tempo indeterminato. 3. L’Euribor ed i precedenti giurisprudenziali di merito. 4. Determinazione nei contratti di mutuo dell’interesse a carattere variabile. 5. Critica alla determinazione dell’interesse variabile tramite il parametro “Euribor”. 6. Compatibilità della normativa di cui all’art. 118 del TUB con la normativa comunitaria direttiva 93/13/CE. 7. Indagine della Commissione Europea per la determinazione del tasso Euribor, quale accordo di cartello fra banche. 8. Interpretazione delle norme della direttiva 93/13/CE da parte della Corte di Giustizia Europea.
Scarica il contributo integrale.
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